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1990

Gentile Signora Regis, Le sono riconoscente per avermi ricordato in questa vigilia del 30° di fondazione del Liceo Scientifico di Borgosesia. Quando si entra in stagioni più solitarie, fa piacere sentire qualcuno che pulsa sui tasti di una memoria di cose buone, risvegliando immagini un po' sopite sull'orizzonte del vissuto, ma mai del tutto dimenticate: quel verde smosso della collina borgosesiana con la densità del suo fervore lavorativo e pure con la preziosità dei suoi riposti angoli di calma e parlante bellezza, come verso Bastia, dove c'era anche una cucina di alto pregio. S'intende che questo è lo scenario. Le immagini più vere sono i volti. E lei, signora Regis, può credermi se dico che non è mai mancata occasione in questi anni senza che io non abbia chiesto notizia di questo collega o di quello, tanto l'amicizia era fervida e naturale. Persino in Sicilia, in uno sperduto santuario dell'interno di Noto, mi capitò di incontrare per caso e con felice reciproca sorpresa un collega con cui ricordare nomi e anni borgosesiani entro l'improvvisato e abbondante convito della grande ospitalità meridionale.
Mi rammarico di non aver mai dato troppa importanza alle foto scolastiche di gruppo: oggi la pizza dei ricordi sarebbe più soffice e i volti più discernibili. Nemmeno lo scarno elenco degli allievi mi sono mai trattenuto in questi trenta anni di insegnamento, sicché nel ricordo vado sempre nel complessivo oppure gioco a mosca cieca traendo qualche volto or a Valduggia, or a Grignasco, or a Quarona or a Serravalle Sesia: alunni che ho reincontrato, non senza febbrile ricerca dei nomi; altri che mi hanno fatto strisciare la notizia delle loro vicende familiari; altri che non lasciano passare il Natale senza farmi avere la cartolina col Gesù Bambino.
Non posso sempre ricambiare. Ci vorrebbe un bollettino con abbonamento postale. Ma il buon Dio ci ha messi dentro un sistema di vasi intercomunicanti e basta un cenno del cuore a creare ripercussioni affettuose ancorché invisibili. Immagini e volti.
Devo anche dire: chiarori e timori.
Venendo da Vercelli, attraversando in treno i paesi della "bassa", presto di mattina (e perdendo il treno quante volte, ma c'era il bus meno mattiniero e un po' ritardatario con gioia di quelli della prima ora), si era sempre tra neve e nebbia entro il grigio re di una foschia così simile ad un tempo malato. Bastava che la "littorina", presa a Santhià, accarezzasse le torri di Rovasenda perché il cuore e gli occhi uscissero dal tunnel. Era una canzone venir su da Gattinara, e poi da Romagnano (con altro cambio di treno) e poi a Borgosesia scendere la rapida della stazione fino alla scuola lì sotto.
Chiarori e timori.
Cosa sanno gli allievi di un insegnante che è agli inizi? Dei suoi timori di non essere all'altezza? Dei suoi tentativi di riuscire chiaro nelle parole e un tantino profondo nei concetti, almeno per stare una spanna alti sulle banalità correnti? Delle sue disposizioni all'amicizia senza essere troppo prendibile o troppo distante nei rapporti? Della sua "materia" che non sopporta le sciatterie intellettuali e nemmeno le gonfiature verbali di polmoni insegnanti?
C'erano anche i timori.
Anche qui devo rammaricarmi con me stesso: i liceali di Borgosesia sono stati i primi. E, invece, beati gli ultimi, quando sulla bilancia dei rapporti pesa di più I'amicizia che la disciplina e la creatività rispetto alla ripetizione. E, tuttavia, beati gli ultimi se i primi sono stati bravi a mettermi in prova, a starmi sotto, a farmi crescere da novizio a professo. Ho dato da parte mia molta amicizia, anche se troppo ingabbiata, e acceso qualche desiderio di verità e interesse per ciò che rende l'uomo più uomo. Almeno, lo spero.
La creatività, quella poca, è venuta dopo. Me ne scuso, ma la vita va così. Ricordate? "L 'uccello di Minerva spunta solo al tramonto".
In totale, quella di Borgosesia è stata una stagione bella anche se di pochi anni. Mi riconduceva alle montagne delle mie vacanze adolescenti sul Rosa e ai luoghi dei tentati rifugi in tempi bellicosi. Bella stagione. C'era la grazia dell'età giovane. E qualcosa di più a forzare le zolle della storia comune. E si sentiva, come adesso sento il rimorso di aver lasciato andare la penna in eccessiva libertà. Ora, svolga Lei il suo ruolo di letterata cordiale con qualche aggiustamento a mio vantaggio.
Grazie.

suo Cesare Massa

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